venerdì 8 luglio 2011

Capitalismo italico.La Fiat, storia di un fallimento tutto italiano




Negli Usa Proprio in questi giorni i repubblicani hanno ribattezzato la 500 “The Obama's Car”, volendo criticare la politica del presidente degli States in merito all'accordo Fiat-Chrysler.
In particolare il partito repubblicano accusa Obama di aver così avallato una politica di spesa pubblica smodata.I fatti purtroppo per loro dicono tutt'altro: Obama ha venduto una azienda cotta e decotta prestando (con il governo canadese) alla casa di Detroit 7,8 miliardi di dollari e riavendoli indietro.
Chi invece ha speso un capitale e non ha avuto, ne avrà mai un euro di rimborso è l'Italia.
Una panoramica sull'universo Fiat: simbolo del capitalismo italico, una azienda che ha privatizzato gli utili, ma ha spalmato sulla collettività le perdite.

Un capitalismo di comodo quello della famiglia Agnelli e accoliti, fatto di ricatti, piangerie e aiutini politici quando serviva.Risultato: abbiamo, dal 1975, speso un miliardo di vecchie lire per ogni posto di lavoro che la Fiat tagliava (leggete bene: spendere per creare disoccupazione).

Sapete a quanto ammonta il totale dei finanziamenti statali elargiti nel corso degli anni (dal 1975 abbiamo dati attendibili) e dei governi alla Fiat? La risposta esatta è: oltre 200 mila miliardi di lire: l’azienda più assistita dallo Stato che esista al mondo.
La stima sopra citata, e che più precisamente si aggira sui 220 mila miliardi, comprende varie voci, dai contributi statali alle rottamazioni prodiane, dalla cassa integrazione per i dipendenti ai prepensionamenti, e ancora dalla mobilità lunga agli stabilimenti costruiti con i soldi pubblici (come quello di Melfi) o, di fatto, regalati dallo Stato (l’Alfa Romeo di Arese).
A fronte di tali chiamiamoli “investimenti”, ci si aspetterebbe che la Fiat fosse diventata padrona del mercato automobilistico mondiale, o quasi. La realtà, impietosa, disegna tutt’altro quadro.
Sempre nel 1975 la Fiat contava 250 mila dipendenti diretti (oltre a un indotto stimato sui 350 mila addetti), mentre oggi quel totale si è ridotto a poco più di 30 mila. Insomma, nonostante la pioggia di aiuti finanziari di ogni genere - per non parlare delle “protezioni” del mercato dalla concorrenza straniera, o delle eccezionali agevolazioni fiscali, o ancora delle politiche di lungo corso sulla mobilità in Italia - la Fiat ha perso per strada circa 220 mila assunti: guarda caso, la stessa cifra dei miliardi ricevuti dalle casse dello Stato.Abbiamo dato alla Fiat 1 miliardo per ogni lavoratore perso, fenomenale!

Un introito pari a 6.059 miliardi di lire, deriva poi dai contributi in conto capitale e in conto interessi ricevuti a titolo di incentivo per gli investimenti nel Mezzogiorno d’Italia in base al contratto di programma stipulato con il governo nel 1988.Leggasi “Cassa del mezzogiorno”, in altri termini.
Infine, altra sostanziosa fonte di sostegno sono gli “ammortizzatori sociali”: cassa integrazione, prepensionamenti e indennità di mobilità. Solo per la prima voce, in un decennio l’onere per le casse dello Stato risulta di 1.228 miliardi di lire.
Conclusione: la Fiat è una azienda non competitiva, che alla fine della grande abbuffata di finanziamenti statali (legati all'ingresso dell'Italia in Europa e al conseguente rigido regolamento sugli “aiuti di stato”), non ha trovato di meglio che passare al “modello cinese”: per sopravvivere non investire in nuovi modelli, ma delocalizzare in paesi con basse esigenze salariali (Serbia, Polonia, India), e, laddove possibile, con il solito stile ricattatorio, diminuire i diritti e peggiorare le condizioni dei lavoratori (Mirafiori e Pomigliano); in questo contesto la joint-venture americana è patetica: l'unione di due fallimenti non darà mai un successo, nemmeno usando l'aquila americana come foglia di fico.

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